11.7.23

Assenza

Fa parte della vita l'assenza, è una sensazione che prima o poi tutti proviamo. Ci si può preparare a gestirla soprattutto quando è temporanea, quando sai per certo che terminerà e il vuoto si colmerà. In realtà la preparazione scopri che non serve a nulla nel momento esatto in cui quel vuoto ti raggiunge, entra dentro di te. Improvvisamente ti senti spaesato, hai chiaro solo il fatto che ti manca qualcosa e che questa assenza ha la forza di rendere irriconoscibile ciò che fino a ieri amavi vedere mentre oggi ti appare insignificante.  Certo provi a razionalizzare, a darti una spiegazione, perché sei consapevole di quanto sta accadendo e ti ripeti le cose già dette: è uno stato  momentaneo che terminerà rimettendo a posto le cose. No non funziona, perché quello che ti manca in questo momento è un pezzo di te, un qualcosa che sta nel profondo e di cui hai bisogno, è il tassello che completa il puzzle rendendo perfetta l'immagine. Una sola cosa ti interessa fare in questo momento, ritrovare quel tassello perché sai che c'è e che tornerà al suo posto, ma non puoi aspettare. E allora vai a cercarlo attraverso luoghi conosciuti ai quali non presti attenzione perché non sono loro la meta da raggiungere, vai a cercare quel tassello perché hai bisogno di vederlo per riavere l'immagine completa davanti agli occhi. E solo quando l'immagine si completa, solo in quell'attimo, ti senti completo assieme a tutto ciò che ti circonda.

5.4.23

Governare non è un obbligo


Ci risiamo! Riparte, anzi continua perchè non si è mai fermata, la litania del non è colpa nostra ma di quelli che ci hanno preceduto...abbiamo trovato una situazione disastrosa... siamo arrivati da poco non possiamo fare miracoli...chiedete a chi c'era prima... Insomma ogni volta che si insedia un nuovo governo, sia nazionale, regionale o comunale il comandante di turno si sente autorizzato, ai primi svarioni rispetto alle mirabolanti promesse elettorali, a scaricare la responsabilità su qualcun altro, a cercare di apparire vittima di un complotto ordito alle sue spalle. Al regolare ripetersi  di questa sceneggiata a me viene sempre da chiedermi: ma questi da dove arrivano? Perché anche se il nuovo capo di turno è un neofita, uno/a alla prima esperienza, non è certo pensabile che non abbia studiato prima di imbarcarsi in una simile avventura. Cioè se vuoi fare il primo ministro non è che lo decidi così, in quattro e quattr'otto una mattina all'uscita della palestra. Anche perché se è così meglio saperlo che ti rinchiudiamo in un posto sicuro, soprattutto per noi. Escludendo quindi l'improvvisazione, o sei arrivato da Marte e il paese che vuoi governare lo hai studiato guardando le serie tv, oppure gli anni di attività politica fatti prima del salto di qualità sono stati anni sprecati perché non hai capito niente, neanche dove vivi.

Governare non è un obbligo quindi se decidi di farlo è perché ritieni di saperlo fare meglio di altri, perché sei convinto di poter risolvere quei problemi che affliggono il tuo paese, il paese che ami. Ma questo significa che hai consapevolezza del fatto che gli altri governano peggio di te, di qual è la situazione del paese, di quali sono i problemi da risolvere e ovviamente (vero?) di come fare. Non puoi pertanto meravigliarti delle difficoltà e imputare agli altri l'esistenza dei problemi, anche perché hai pubblicamente dichiarato, quando non strillato, che tu sapevi cosa e come si doveva fare per mettere a posto le cose, per migliore la situazione del paese, il paese che ami.  Allora vediamo di smetterla con le scuse da bambini e il ridicolo nascondersi dietro a un dito: sei lì, hai voluto essere lì, per risolvere tutto ciò che a tuo dire non va bene, quindi fallo o ammetti di non esserne in grado, dichiara che quanto raccontato in campagna elettorale erano favole il cui unico scopo era quello di ottenere dei voti per conquistare il potere, e alla fine onorevolmente dimettiti. Magari un agire finalmente in modo chiaro e trasparente potrà essere di esempio per quanti vorranno cimentarsi nella gestione del potere, magari matureranno la consapevolezza che il farlo significa assumersi appieno ed in prima persona un enorme carico di responsabilità dal quale non si può in alcun modo fuggire. Se veramente si ama il proprio paese.

14.2.23

Quante volte

Quante volte le ho sentite quelle parole, quante volte ho visto quegli sguardi. Quante volte ho sentito parole offensive rivolte a chi aveva la "colpa" di avere un colore di pelle diverso o parlare una lingua diversa, quante volte nel mio paese, nella regione in cui sono nato e vivo ho sentito commentare con sospetto una bicicletta nuova condotta da una persona di colore. Quante volte in un ufficio o in un negozio ho sentito dare del tu ad un immigrato, mentre nello stesso ufficio o negozio a me si dava del lei. Quante volte ho visto servire prima un bianco di un nero. Quante volte ho visto sguardi di fastidio o di paura per il semplice avvicinarsi di una persona di colore, come se fosse certo che chi si stava avvicinando costituiva un pericolo. Quante volte? Troppe. Troppe per potersi offendere quando qualcuno sostiene che l'Italia è un paese razzista, un paese in cui il discriminare chi è diverso è pratica quotidiana. Oggi essere razzisti non vuol dire organizzare ghetti o treni piombati, significa non considerare normale che un tuo connazionale possa avere un colore di pelle diverso al tuo, significa pensare che qualsiasi cosa abbia non sia conquistata con fatica e merito ma sia una concessione della quale deve essere grato a te, autentico cittadino di questo paese. Essere razzisti significa fingere che tutto questo non sia vero pur vedendolo ogni giorno in qualsiasi paese della bella Italia, significa cercare assurde argomentazioni per sostene che sia un fenomeno limitato riguardante solo poche persone, piccoli gruppi di ignoranti. No, non è così, non sono poche persone, non sono solo persone senza cultura, e lo sappiamo. Lo sappiamo perchè in fondo, se abbiamo il coraggio di guardarci dentro con onestà, quella diffidenza e sospetto per il diverso appartiene ancora alla maggioranza di noi. Allora se davvero vogliamo toglierci questo fardello dalle spalle dobbiamo, innanzitutto, ammettere di averlo, e quando qualcuno ci racconta le umiliazioni o gli insulti subiti non bollare le sue parole di falsità ma ascoltarle con attenzione per capire come, insieme, possiamo migliore. Se faremo questo arriveremo ad essere un paese dove l'unico a non aver diritto di cittadinanza sarà il razzismo.

 

Immagine di Mauro Biani scaricata da web

28.12.22

Era la stampa, bellezza!

"Mentre il direttore di un quotidiano conduce una violenta campagna contro un gruppo di affaristi disonesti, i proprietari del giornale decidono di vendere. Il direttore si oppone e continua nella sua campagna, improvvisandosi all'occorrenza anche detective per smascherare i truffatori. Alla fine, la spunta: i colpevoli sono arrestati e il suo giornale continuerà le pubblicazioni". Questa la trama (estratta dal sito mymovies.it) del film ispirato a fatti reali L'ultima minaccia, uscito nel 1952 e passato alla storia per la frase "È la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi fare niente", detta al telefono da Humphrey Bogart in tono di sfida verso chi voleva tappargli la bocca. Un film sulla libertà di stampa, sul coraggio di non piegarsi davanti ai potenti, sulla forza dell'informazione nello smascherare i disonesti davanti ai cittadini. Guardando il mondo dell'informazione oggi e ripensando a quel film mi viene da dire, naturalmente senza l'efficacia e il fascino di Bogart, “Era la stampa, bellezza”. Sì, perché mi pare di non vedere in giro molti direttori o giornalisti disposti a mettersi in gioco per non cedere a minacce o lusinghe, rifiutare comode posizioni pur di non piegarsi davanti al potente di turno, mettere sempre al primo posto il dovere di informare correttamente. Quante volte si trovano sulla carta stampata oppure online interviste a imprenditori, manager, esponenti politici nazionali o locali che non contengono una sola domanda scomoda, una domanda che, impedendo fumosi giochi di parole, chieda di chiarire posizioni ambigue, scelte fatte o non fatte, di esprimere una posizione netta ed inequivocabile su un tema centrale per il futuro del Paese. Interviste che non producono informazione per il lettore ma consentono all'intervistato di mettersi sotto i riflettori per evidenziare tutta la sua grandezza, la sua umanità, il suo indefesso impegno al lavoro. D'altronde gli stessi direttori sempre più spesso sono talmente pieni di sé da mettere in secondo piano l'illustrazione e la spiegazione dei fatti rispetto alle proprie personalissime opinioni. Può accadere, ad esempio, di sentire il direttore di un noto giornale sostenere in diretta tv che le ONG sono un pull factor per i migranti, nonostante i conduttori gli ricordino dati alla mano che è dimostrata l'inesistenza del pull factor. Ma al noto direttore non basta certo trovarsi davanti la realtà per ravvedersi perché, afferma, “questa è la mia opinione”. Una opinione che pur prescindendo dai fatti avrà ovviamente spazio sul suo giornale e nelle menti di quei lettori che purtroppo non possono contare su un direttore come Humphrey Bogart.


15.12.22

Prima la persona

Il coraggio, la paura. Il coraggio di avere paura. la forza per trovare il coraggio di raccontare la paura. Una vita diventata un guazzabuglio che deve essere riordinato perché possa continuare. Lo scoprirsi malato e ritrovarsi a giocare un campionato diverso che i sani dicono dover essere il tuo, ma tu non vuoi essere diverso non vuoi essere la tua malattia, vuoi essere aiutato, forse, ma certamente non commiserato. Vuoi vivere la tua vita. Perché non riusciamo, o certamente stentiamo, a rapportarci  in modo normale con chi è malato, perché non vediamo più la persona ma solo il malato e un nome proprio viene soppiantato dal nome di una malattia? Forse è il bisogno di esorcizzare una condizione che potrebbe diventare la nostra ma alla quale non vogliamo credere, una paura che non sappiamo gestire e nascondiamo sotto un velo di commiserazione. Tutti siamo stati o saremo dei malati, solo che generalmente, grazie alla medicina che cura, è una condizione temporanea dalla quale si esce per tornare allo stato di sani. Il problema è quando la medicina non cura e si deve convivere con la malattia che si diventa diversi agli occhi degli altri. Eppure esiste una quotidianità in molti casi del tutto simile a quella della  maggior parte delle persone anche per chi dalla condizione di malato non può uscire e non riconoscerlo significa spingere ai margini chi non ha perso alcun diritto per restare al centro, perché una malattia certamente condiziona ma lascia inalterati i diritti della persona. Molto dobbiamo modificare nel nostro modo di guardare la malattia e non mi riferisco solo alle “grandi” malattie, parlo del quotidiano, della persona che cammina vicino a noi aiutandosi con  una stampella che sicuramente vediamo senza però vedere la persona, quando vedremo prima la persona e poi la stampella saremo una società migliore.

8.12.22

Un'altra categoria

Ormai dovrei averlo capito, anzi l'ho capito eppure ogni volta resto piacevolmente colpito dalla gentilezza e disponibilità dei vigili del fuoco. È sicuramente il mestiere sognato e idealizzato da moltissimi bambini quello del vigile del fuoco, o pompiere come diciamo noi bambini del secolo scorso, ma nella realtà è un lavoro duro con una paga che non corrisponde certo all'impegno e preparazione richiesti. Del fatto che tra i corpi dello Stato i vigili del fuoco siano di un'altra categoria ne ho avuto l'ennesima prova in piscina, dove vado per via di certi problemi tipici di noi diversamente giovani, oggi che due corsie erano riservate ad un gruppo di vigili del fuoco, non so se già effettivi o in formazione, i quali si allenavano in tecniche di salvamento. Tra i vari esercizi eseguiti sotto il controllo degli istruttori, uno mi ha attirato facendomi interrompere il mio nuotare su e giù per la vasca. No, non era una scusa per non faticare o perché ero spompato! L'esercizio in questione riguardava il recupero di una persona in difficoltà con "trascinamento" a riva mantenendola ferma e in sicurezza con un braccio, un esercizio simile a quello che mi è stato insegnato durante i corsi per il brevetto da subacqueo. Fortunatamente non ho mai dovuto mettere in pratica quanto mi è stato insegnato, ma vedendolo fare mi sono chiesto se anch'io sarei in grado di farlo, se cioè riuscirei a portare un aiuto efficace ad un mio compagno di immersione in difficoltà. Questi pensieri hanno accompagnato le mie bracciate per tutto il tempo rimanente e una volta uscito dalla vasca mi sono avvicinato all'istruttore, che stava controllando che gli esercizi si svolgessero correttamente, e gli ho chiesto se potevo fargli una domando su quell'esercizio. Non mi sarei certo meravigliato se mi avesse detto “guardi, mi spiace ma devo seguire i ragazzi in vasca”, lui stava lavorando e io ero solo un subacqueo curioso. Invece no, non solo mi ha cortesemente risposto, ma ha anche dettagliato la risposta spiegandomi, in modo conciso e con un occhio sempre alla vasca, alcune varianti possibili a seconda delle condizioni in cui ci si può trovare. Che dire, è un vigile del fuoco e la disponibilità verso gli altri è sempre presente, fa parte del loro essere e questo vale ovunque non è una cosa solo dei VVFF perché i bomberos, i vigili del fuoco spagnoli, posso testimoniare che sono uguali. Madrid, una di notte passata, dopo aver splendidamente mangiato passeggio in Plaza Mayor assieme ad amici, una di loro si accorge di aver perso il portafoglio con i documenti di identità. Lo cerchiamo senza successo anche perché l'ottima sangria bevuta non ci rende lucidissimi, decidiamo di rivolgerci alla polizia per sapere cosa fare, ma non troviamo neanche un agente c'è però lì vicino una caserma dei bomberos dove alcuni vigili stanno parlando all'aperto vicino ai mezzi cercando un po' di fresco, ci avviciniamo e subito ci chiedono cordialmente se abbiamo bisogno di aiuto. Naturalmente non possono trovarci il portafoglio che chissà dove è stato perso, pero ci riempono di informazioni su come comportaci per la denuncia di smarrimento, per fare un documento di identità provvisorio che ci consenta di muoverci per la Spagna senza problemi e poter prendere il volo di ritorno. Insomma, supportano al meglio quattro stranieri sbadati e un po' alticci quando avrebbero potuto semplicemente dirci di andare alla polizia. Ma loro sono vigili del fuoco, sono di un'altra categoria.

4.12.22

Tornare


Torno qui! Dopo anni in cui avevo dimenticato questo posto mi è venuta voglia di tornare a scrivere nel mio vecchio blog.  Non so esattamente perché mi è tornata la voglia, forse perché sono un po' stufo di social network confusi, dove non sono più io a cercare persone o notizie ma sono i social direttamente a indicarmeli, dove  sempre più difficilmente si riesce a "parlare", a fare un piccolo ragionamento senza finire in una marea di commenti strampalati scritti da persone che sembrano escludere a priori la necessità di pensare prima di scrivere una risposta. Ecco, forse cercavo un rifugio, un luogo poco frequentato dove pensare ad alta voce per cercare, magari, di schiarirmi le idee senza preoccuparmi di innescare una canea inutile e fastidiosa. Che poi a pensarci più che un rifugio questo è un eremo, perchè in un rifugio capita di incontrare qualche altro viaggiatore con cui scambiare quattro chiacchiere, qui è improbabile passi qualcuno e ancora di più che si fermi. Ma non mi importa, voglio tornare scrivere per divertimento o per scacciare un momento triste, o semplicemente perchè mi va senza farmi troppe domande e se poi nessuno se ne accorge o nessuno commenta pazienza, non cambia nulla. Lo dico nella descrizione di questo blog "Nessuna pretesa di spargere verità o cambiare il destino del mondo", quello che scrivo serve a me sono pensieri senza pretese, appunto, e se poi qualcuno dovesse trovare interessanti le mie parole, bene la cosa non potrà che farmi piacere anche perché, qui nell'eremo, non ci sono obblighi o possibiltà di un tornaconto e quindi se qualcuno apprezza lo fa sinceramente. Ok, per ora mi fermo, quel poco che mi frullava per la testa e che mi andava di scrivere l'ho scritto. Ma penso proprio che tornerò, perché mi è piaciuto e mi ha dato una buona sensazione stare qui.

6.3.18

Italiani brava gente? No.

No, gli italiani non sono brava gente. Certo amiamo raccontarcelo, e lo facciamo così di continuo che arriviamo perfino a crederci. Ma la realtà, quella che ci nascondiamo, è un'altra. Siamo un paese in cui la maggioranza delle persone è sempre più ostile verso tutto ciò che è diverso, sempre più intollerante ed aggressiva, antirazzista a parole, pronta a credere ad uno sciamano ma non ad uno scienziato, che ammira il “furbo” capace di aggirare le leggi, refrattaria a ciò che va oltre il proprio “qui ed ora”. Un paese in cui l'idea di agire con lo sguardo rivolto al futuro per affrontare le nuove complessità, per costruire un mondo aperto e a misura delle nuove generazione, è considerata una minaccia. Che respinge, con compiaciuta ignoranza, tutto ciò che richiede anche solo un minimo sforzo di analisi o di riflessione. D'altronde noi sappiamo già tutto. L'unico sforzo che siamo disposti a sostenere e quello per la costruzione di muri con cui illuderci di bloccare un mondo nuovo che avanza e che richiede cambiamenti al nostro modo di vivere. Gli interlocutori che ci interessano sono quelli che assecondano, anzi alimentano, le nostre paure. Il “prima qualcosa”, dove il qualcosa corrisponde ad un “io”, è diventata una filosofia di vita nel bel paese, perchè gli altri vengono dopo di me, non contano. Anzi, meglio non vengano proprio. Gli italiani brava gente sono questo, sono quelli che per gli altri urlano “in galera e buttate la chiave”, ma per se stessi trovano sempre una valida scusante. L'idea di società si sta restringendo al concetto di clan, e poco importa se il prezzo da pagare per il dominio del mio clan è la cancellazione di principi di uguaglianza e libertà faticosamente costruiti nel tempo. La memoria, comunque, è un inutile impiccio di cui ci siamo liberati da tempo. Certo il paese non è tutto così, ma quelli che non rientrano nello schema dominante sono, prendiamone atto, una minoranza sempre meno in grado di cambiare la situazione. Una minoranza che, per sfiducia o stanchezza, sembra non saper trovare mezzi per contrastare quegli italiani non brava gente che stanno orientando il paese con le spalle al futuro.

23.12.17

Da leader a reliquia

Una persona che nella sua vita è stato riferimento intellettuale, innovatore politico, che ha saputo modificare il costume sociale del paese. Una persona che a pieno titolo può, e forse deve, essere definito come un pezzo fondamentale nella storia del paese. Ecco, quando una persona così viene a mancare si dovrebbe fare molta attenzione a come la si “maneggia”. Basta poco per trasformare uno abituato a indicare percorsi invisibili per altri, a combattere chi per interessi dell'oggi mette a rischio il domani, da leader ad una reliquia sulla quale tutti posano fameliche mani nel tentativo di prendersene un pezzo. Nel solo nel citarlo, un tal uomo, dovrebbe esserci un timor reverenziale, si dovrebbe rifuggire la sola idea di farsene interprete per l'oggi basandosi sul suo pensiero di ieri. Di un uomo che non conosceva la banalità e che ogni giorno era pronto a spiazzare amici ed avversari, chiunque dovrebbe evitare come la peste la tentazione di sentirsi erede o interprete autentico del pensiero, perchè una tale tentazione farebbe immediatamente sprofondare nel ridicolo chiunque se ne facesse cogliere. Purtroppo tali accortezze vengono disattese e così nel nome del compianto si assistono a scempi e guerre di “religione”. Si scatenano liti nel nome del rispetto del pensiero, del sentiero tracciato o della via indicata. Una condivisione dialettica viene rapidamente sostituita da una dottrina di fede in cui all'eresia si preferisce l'ortodossia. Così un leader che ha fatto più grande il paese viene ridotto ad una reliquia davanti alla quale azzuffarsi nel nome di una fede che non esiste.
Ma stiano pur certi tutti quanti: chi la fa, e non chi ci lucra, resta nella storia.

1.9.17

La valigia dei ricordi

Aprire una vecchia valigia di ricordi, frugarci dentro per fare ordine, perchè sai che ci sono cose che non devono essere buttate via, ricordi che non vuoi perdere. Trovarsi improvvisamente immerso in immagini che assolutamente non ricordavi, ma che il solo toccarle fa spalancare la porta sul passato dove ogni scatto torna ad essere un pezzo del tuo presente, di quello che sei oggi. Sono immagini di ogni tipo, per lo più raccontano momenti di convivialità, di giochi. Ci sono le foto di un tempo, in bianco e nero, dove i volti in posa sembrano quelli di attrici sul set di un film. Ci sono le tue immagini di bimbo in cui quasi non ti riconosci, qualche buffo scatto delle vacanze che ancora ti strappa un sorriso. Poi dal fondo spunta un piccolo raccoglitore grigio topo, dall'aspetto quasi antico, assolutamente integro. Non ti pare di averlo mai visto, lo apri con una delicatezza non cercata, dentro foto, queste sì introvabili in qualsiasi scomparto della tua memoria. Sono però foto che ti appartengono anche se sono di un tempo prima di te, un tempo oscuro e terribile dove il confine tra vita e morte era sottilissimo, dove l'oggi non sapeva se avrebbe avuto un domani. Sono foto della guerra, di quel tempo che hai studiato sui libri ma di cui tuo padre non ti ha quasi mai parlato e di cui tu non hai mai avuto il coraggio di chiedergli. E adesso eccolo lì, con il giubbotto di volo insieme agli altri a farsi fotografare davanti al carrello di un aereo, tutti con un'espressione allegra che non sai capire quanto vera. Continui a sfogliare, e scrutare ognuna di quelle foto dal formato piccolissimo, poco più di una foto tessera. Poi arriva quella su cui ti blocchi, tuo padre da solo, seduto sull'ala con tra le braccia un botolo peloso che sotto le carezze pare quasi chiudere gli occhi in estasi. Lui mentre lo accarezza lo guarda con un mezzo sorriso, un sorriso diverso da quelli che avresti conosciuto parecchi anni dopo. Chissà se quelle carezze erano un mezzo per allontanare i pensieri, la paura, l'incertezza del domani, o semplicemente coccole per un cucciolo a cui voleva bene. Non lo saprò mai.

23.8.16

Oltre la superficie

Spesso, forse ogni giorno, ci si trova davanti alla necessità di andare oltre la superficie, di scendere al di sotto di quanto emerge per meglio vedere, analizzare, comprendere. A volte è indispensabile farlo per aiutare, per tendere una mano a chi è in una situazione di difficoltà e da solo rischia di non saper riemergere. Ma quando scendi e ti disponi a fare tutto il possibile per meglio capire lo stato delle cose, quando sei pronto a tenderti con tutte le tue forze e capacità, quando accetti di metterti in pericolo per afferrare chi rischia di scivolare troppo in fondo, bisogna farlo avendo ben in mente la regola fondamentale: che l'immersione sia nel mare o nel profondo dell'animo umano, ogni sforzo va fatto sapendo che il primo che devi salvare sei te stesso, perchè non servirebbe a nulla far riemergere due corpi inanimati.

13.7.16

Paese irriconoscibile?

Un paese abbruttito dall'intolleranza, dalla violenza, dalla volgarità. Il senso di comunità progressivamente cancellato dalla voglia di sopraffazione, da un incomprensibile desiderio di rivalsa e di predominio sugli altri. Un paese che appare ogni giorno più irriconoscibile, nel quale si moltiplicano, e forse si sprecano, analisi per cercare di capire e spiegare cosa sta succedendo e perché. A molti questa trasformazione della società appare dettata dalle difficoltà crescenti che le persone si trovano quotidianamente ad affrontare, e in mancanza degli strumenti per superarle si cerca di scaricare sugli altri le proprie frustrazioni. Ma se invece non fossimo in presenza di un cambiamento? Se, cioè, lo spirito del paese fosse da tempo questo? Qualcuno certamente ricorderà “l'esperimento” condotto da Radio Radicale alla fine degli anni '80 quando decise di lasciare i propri microfoni aperti, consentendo a tutti di esprimersi senza alcun filtro o censura. Quello che accadde venne ribattezzato “Radio Parolaccia”. Una enormità di insulti e volgarità contro tutto e tutti si diffuse nell'etere: dallo sport alla politica, dagli zingari ai marocchini passando per gli ebrei, nessuno si salvava da quel fiume di violenza verbale. Improvvisamente una moltitudine di cittadini, ben nascosti dall'anonimato, davano libero sfogo a quello che probabilmente era il loro vero io. All'epoca non esistevano ancora i social network e quella parte di paese era conoscibile solo a chi decideva di sintonizzarsi su Radio Radicale, e comunque quella valanga di sproloqui non lasciava traccia il giorno dopo se non nell'archivio della radio. Oggi, forse, ci troviamo a fare i conti con una parte del paese che non è peggiorata o, speriamo, aumentata, ma semplicemente dispone di ben altro e più potente megafono di quello rappresentato da Radio Radicale. Oggi grazie ai social network la propria intolleranza, la parola scagliata senza pensare, una affermazione indegna, può essere replicata all'infinito, lo spirito di emulazione può facilmente diffondersi. Probabilmente il paese che pare irriconoscibile è in realtà uguale a se stesso, con l'unica differenza che ieri potevamo far finta di non conoscerlo, ora invece è costantemente davanti a noi e siamo costretti a guardarlo per quello che è.

13.6.16

Come il mare

Parole, immagini, pensieri, ricordi affastellati nella mente. Un guazzabuglio nel quale trovo lacrime e sorrisi, urla e sussurri, rabbia e dolcezza, immagini che appaiono in modo nitido e poco dopo sfuocate. Un caos da restare storditi, un caos nel quale a volte pare di perdere la rotta e non riuscire più ad orientarsi. Perché la vita in fondo è un mare nel quale ci si trova a navigare, e come il mare devi affrontarla. Quando c'è calma piatta esci e ti lasci avvolgere beatamente dalla sua tranquillità, ne assapori facilmente tutta la bellezza; quando c'è un po' di onda lo guardi un attimo, ci pensi su, ma non ti fai scoraggiare ed esci ugualmente, perché lo vuoi vivere, perché lo ami e sai che ti può riservare grandi bellezze anche se al costo di un po' di fatica in più. Quando c'è burrasca magari aspetti, ti metti lì da una parte, sperando che cali un po', continuando a guardarlo, perché il mare ti affascina anche quando non sai come prenderlo. Perché come è arrivata, rapidamente la burrasca può scemare e ridarti un mare in cui poterti tuffare e tornare a godere dalle sue mille bellezze. Dal mare, ormai lo sai, non ti devi far scoraggiare, lui ti mette alla prova, sempre, ma sempre vale sempre la pena di affrontarlo perché non sai mai cosa ti riserva. Proprio come la vita.

22.5.16

E adesso, dopo le parole?

Dopo giorni ad argomentare sulla sua grandezza, a spiegarci la lungimiranza, dopo aver glorificato ed incensato Marco Pannella. Dopo che la politica, quella “ufficiale”, non quella da marciapiede, si è dichiarata orfana di un grande di questo paese, dopo aver auspicato che il suo pensiero, quello che non hanno ascoltato ma spesso irriso, possa continuare ed espandersi. Dopo che un'improvvisa schiera di estimatori dei Radicali si è palesata, uscendo da luoghi così oscuri da non essere stata visibile da nessuno per anni. Dopo che, scesi dal Palazzo per fare qualche passo sulla strada di Marco, vi accingete a rientrare nelle vostre stanze, ecco dopo tutto questo, adesso, voi signori del potere, cosa pensate di fare? Continuerete nella vostra politica da nani, o avrete il coraggio di dare corpo a quella politica che non può più avere il corpo da gigante di Marco? E' ora il momento di farsi carico, di discutere seriamente, concretamente, temi e proposte come quelli sul fine vita, sull'eutanasia, sulla legalizzazione delle cannabis, sul diritto alla conoscenza. Ora, subito, è il momento di discutere di Stato di diritto, di amnistia ed indulto, della situazione delle carceri. Rileggetevi, anzi leggete perchè non lo avete fatto, il messaggio dell'ex Presidente Napolitano inviato alle Camere e mai da voi discusso. Adesso dovete dimostrare di non essere solo parole ma anche azione, di saper essere classe dirigente che guarda lontano e non si ferma all'oggi, che parla alle menti e non alla pance, che accetta di essere impopolare per non essere antipopolare. Voi, politici che avete fatto di tutto per tenere Pannella e i Radicali ai margini, silenziati, esclusi da tutto, dimostrate di aver capito, o di voler capire, il lascito di idee e progetti di Marco. Altrimenti i vostri compunti omaggi, veramente puzzeranno di ipocrisia lontano un miglio.

3.5.16

Famiglia d'anima

Non mi è mai appartenuto il concetto di famiglia inteso come quell'insieme di legami dettati dalla consanguineità. Non ho mai sentito quella cosa che molti con orgoglio chiamano il “richiamo del sangue”. Per me la famiglia è, è sempre stata, quell'insieme di persone che completano, fanno crescere il mio essere, persone che io ho scelto, che per motivi, a volte uguali a volte diversi, sento essermi indispensabili. Sono persone alle quali ho deciso di donare un pezzo del mio cuore e alle quali nulla chiedo in cambio. I membri della mia famiglia, la mia famiglia d'anima, spesso neanche si conoscono tra loro, forse non sanno neanche di farne parte, nella mia famiglia, quella che mi serve per vivere, per fare un passo dopo l'altro, non ci sono cognomi uguali e se ci sono è un fatto irrilevante, a me bastano i nomi. Allora nel mio sangue scorrono nomi come, Monica, Pier, Elena, Bobo (ma vi pare un nome Bobo?), Andrea, Annalisa, Antonella, Marco, Emma, Mitia... e molti altri. Perchè ho la fortuna di essere ricco di persone che mi hanno donato tanto, senza le quali non sarei quello che sono e non potrei fare quello che ancora devo fare. No, non confondo l'amicizia con la famiglia, queste persone sono assai più degli amici, sono pezzi di me, mi compongono e quando ne perdo una è un pezzo di me che si perde. Questa è la mia famiglia, l'insieme di ciò che è simile a me in cui cercare certezze, ma anche diverso da me, in cui trovare quei dubbi che mi costringono a non fermarmi.

3.4.16

Macchine ferme e luci spente

Per sei giorni in un mese le macchine non si sono mosse, per tre giorni consecutivamente, un giorno assieme a tutte le altre del paese. Per sei giorni non un pezzo di carta ha incontrato una goccia d'inchiostro, per sei giorni migliaia di lettori non hanno avuto il loro giornale da leggere, mentre nel mondo succedeva di tutto. Centinaia di lavoratori, che solitamente non brillano per compattezza e solidarietà, si sono ritrovati convintamente uniti con un unico obiettivo. Sei giorni di sciopero in un mese da parte di una azienda, non passano inosservati, in un paese democratico normalmente diventano una notizia. Un avvenimento del quale cercare di comprendere e far conoscere le motivazioni, soprattutto se sulla vicenda giungono, in modo trasversale, dichiarazioni di solidarietà e preoccupazione dal mondo della politica locale e nazionale. Invece nulla, quanto accaduto non è diventato notizia. Il mondo dei media, alle rotative ferme, ai lavoratori in piazza, ha fatto corrispondere luci spente ed obbiettivi chiusi. Un strano velo di omertà sembra essere calato su chi ha il compito di fare informazione, un senso di paura ha assalito chi, con telecamere e microfoni, migliaia di volte si è buttato senza esitazione in manifestazioni e scioperi delle più varie categorie produttive del paese. Se ne sono stati in disparte perfino quei reporter che fatichi a capire se siano interessati a fare informazione o a cercare occasioni per alimentare qualche gazzarra. L'informazione non parla dei problemi dei lavoratori dell'informazione. Chissà forse è solo per pudore, perchè i panni sporchi si lavano in casa, o forse molto più semplicemente, e molto più drammaticamente, perchè i padroni delle macchine non consentono che di loro si parli e si sappia.

3.3.16

Commiato civile

La perdita di una persona cara è certamente il momento più doloroso che la vita ci impone di affrontare. L'ultimo saluto è l'evento attraverso il quale si cerca di mitigare il dolore con la vicinanza e la condivisione dei ricordi di quanti hanno fatto parte della vita di chi non c'è più. Sempre, quest'ultimo saluto, dovrebbe essere possibile realizzarlo in una ambiente accogliente e confortevole, mai al dolore del momento dovrebbe essere necessario aggiungere la fatica di trovare un luogo adatto. Certo, per un funerale, di questo stiamo parlando, ci sono un numero infinito di chiese accoglienti, eleganti, sfarzose, intime, con officianti pronti a declamare parole giuste ed opportune. Anche per confessioni diverse da quella cattolica esistono, e giustamente aumentano, luoghi simili. Ma per chi non è credente, per chi non crede in paradisi in cui trovare fiumi di latte e macchinette per il caffè ovunque, per chi pensa che dopo la morte il proprio posto sarà solo nei cuori di quanti lo hanno amato. Ecco, per questi, che non sono pochi, perchè deve essere tutto più difficile se non addirittura impossibile? Sono ancora troppi i luoghi in questo paese dove mancano sale per un ultimo saluto laico, o se ci sono, sono spesso piccole stanze perlopiù disadorne, dove i familiari devono arrangiarsi per qualsiasi cosa. La morte, si dice, rende tutti uguali, ma non è vero. Sembra che essere laico, non credente in un qualche Dio, sia ancora una colpa dalla quale neanche la morte ti può emendare: tu ateo, vattene lì in quell'angolo lontano con i tuoi sodali, che noi, che siamo i migliori, vi si possa riconoscere e meglio controllare. Sì, sono indignato ed offeso. E' un'inaccettabile dimostrazione di inciviltà, di arretratezza culturale, che nella mia città, come in molte altre, non si senta il dovere di realizzare sale del commiato decorose e ben organizzate. Essere un paese civile significa anche aiutare ad affrontare il dolore di dare l'ultimo saluto a chi in vita è stato, e continuerà ad essere, un nostro amore.

11.2.16

Magari fosse un ente solo inutile

Trasformare, con puntuale incuria, un enorme patrimonio immobiliare in un enorme cumulo di macerie. Potrebbe essere descritta così la "mission" dell'Ater di Venezia, un ente che tra inchieste, osservazioni della corte dei conti e commissariamenti vari, si dimostra ogni giorno di più una palla al piede per la gestione della residenzialità nel Comune più famoso del mondo. Si potrebbero riempire volumi con racconti surreali sulla incapacità di azione a fronte delle problematiche abitative che riguardano centinaia di persone. Appartamenti lasciati nel più totale degrado, lavori di ristrutturazione di vecchi, per non dire storici, palazzi lasciati in sospeso per mancanza di verifiche sui lavori o per burocratici rimpalli di responsabilità. Funzionari che si lanciano frecce avvelenate l'un l'altro (in puro spirito aziendalista) al  solo scopo di chiamarsi fuori anche dalla più piccola decisione. Riunioni per deliberare attività di ristrutturazione e conservazione degli immobili continuamente rinviate, a causa di delegati dell'ente privi di qualsiasi potere decisionale e con il solo compito di riferire ad un non meglio precisato dirigente superiore che si guarda bene dall'esporsi in prima persona. In tutto questo bailamme di inefficienza mista ad ottusa burocrazia, un immenso patrimonio pubblico, cioè di tutti, va letteralmente in malora trascinando con se decine di persone costrette a vivere in situazioni precarie quando non malsane. A fronte di tutto ciò, e della costantemente sbandierata volontà di una corretta ed efficiente gestione dei beni pubblici, viene spontaneo chiedersi quanto si dovrà attendere prima di vedere l'eliminazione di un ente che per come opera appare peggio che inutile, e l'affidamento di questo prezioso patrimonio immobiliare a chi sia realmente interessato alla sua salvaguardia. Auguriamoci che il tempo da attendere non sia troppo, altrimenti al posto di un patrimonio da gestire avremo solo delle macerie da smaltire.

27.1.16

Paura dell'amore altrui

Chiunque frequenti questo paese con un minimo di attenzione, non può non aver constatato l'abissale distanza che c'è tra il modo di vivere dei suoi abitanti, compresi quelli che si professano di religione cattolica, e i dettami della Conferenza Episcopale Italiana e più in generale delle gerarchie vaticane. Si potrebbe fare un elenco infinito di inosservanze: dall'infedeltà coniugale, al divorzio, dall'uso dei contraccettivi, alla discriminazione verso i deboli... Chiunque venisse interrogato sulla questione con una domanda anche a “bruciapelo”, sicuramente troverebbe un buon numero di esempi da citare. Nonostante questa innegabile realtà, ogni volta che qualche porporato alza la voce per indicare cosa si deve o non si deve fare, una schiera di politici, cioè i rappresentanti di quei cittadini che nel quotidiano se ne “strafregano” dei desiderata di oltre Tevere, finisce nel panico e crolla a terra pronta a baciare l'anello. Viene fin troppo facile ricordare quanto accadde con la legge 40 sulla fecondazione assistita, una pratica medica nella quale l'Italia era all'avanguardia dal punto di vista tecnico scientifico ma che venne proibita con una legge dettata dalle gerarchie vaticane, benchè incostituzionale come dimostrato negli anni dalle sentenze della Corte costituzionale. Non solo quella legge venne fatta passare in Parlamento, ma quando si tentò di abrogarla con un referendum, politici tremanti e genuflessi non dissero nulla davanti ad una letteralmente illegale campagna di istigazione al non voto scatenata dalla CEI. E che dire del tema del fine vita, un tema sul quale i cittadini di questo paese hanno una posizione chiara e maggioritaria, ma sul quale non si può legiferare perchè i soliti politici cattolici (vogliamo dire due parole sul loro essere cattolici? Meglio di no...), attendono il permesso dei porporati di cui sopra. Adesso è la volta della legge sulle unioni civili, un tema che la gran parte dei paesi europei ha da anni affrontato e risolto. Un tema che riguarda l'amore e la felicità delle persone, un provvedimento da varare per riconoscere parità di diritti, per normare situazioni familiari che già esistono numerose nel nostro paese, per conquistare un diritto in più senza togliere nulla a nessuno o costringere qualcuno a fare ciò che non vuole. Ma no, Monsignor Bagnasco perentorio afferma che ci sono famiglie con la “F” maiuscola che non possono essere confuse con quelle con la “f” minuscola, (comincio ad averne le tasche piene di maiuscole e minuscole...). Rieccoli quindi i politici devoti difensori della famiglia, così amanti della famiglia tradizionale da averne spesso due o tre, compattamente quanto ottusamente piegarsi senza esitazione al voler del Monsignore, pronti a dare battaglia ad una legge che rappresenta un timido, anzi timidissimo, passo verso il riconoscimento di una parità di diritti tra i cittadini. Nei loro volti, anzi nelle loro schiene vista la posizione, c'è la totale indifferenza verso il dettato del loro mandato di Parlamentare in una Repubblica laica per Costituzione e senza una religione di Stato. Tra qualche giorno si ritroveranno tutti, assieme ad una buona dose di ipocrisia, al family day, una manifestazione che non chiede qualcosa di più per la famiglia o per i cittadini di questo paese ma qualcosa in meno, che chiede diseguaglianza e discriminazione, che ancora una volta chiede sofferenza per gli altri, che confonde peccato con reato, che in nome del “io non lo farei” vuole imporre il “tu non lo devi fare”. Ma cosa spaventa nell'amore degli altri? Cosa temono possa togliere al loro? Sempre che siano ancora capaci di amare, perchè avere il dubbio che siano invidiosi a questo punto è lecito. Forse questi signori riusciranno ancora una volta ad impedire una conquista di libertà, ma certamente non riusciranno ad impedire alle persone di amarsi come il loro cuore gli indica, di cercare la felicità e di arrivare ad ottenere, per loro e le loro famiglie, la parità di diritti e riconoscimenti. Perchè i diritti camminano sulle gambe delle persone e non saranno certo delle schiene ricurve o le urla di qualche porporato a fermarli.

19.1.16

Il tempo

Non curanti ce lo facciamo scivolare addosso, convinti scioccamente di averne a disposizione quanto ne vogliamo. Sono una valanga le ore, i giorni lasciati andare come fossero roba che non ci riguarda, senza preoccuparci di afferrarli per dargli un senso, per affidargli un compito, magari piccolo ma che ci permetta di dire: sì, questo tempo l'ho vissuto. Il tempo non è come ci piacerebbe credere qualcosa di infinito, è un bene limitato e prezioso, da vivere possibilmente al meglio, ma soprattutto da vivere. Il tempo non ti aspetta, o sei veloce nel decidere che farne o ti passa sopra lasciandoti li, buttato su un divano ad aspettare che quello a tua disposizione sia finito. Allora basta con il ridicolo alibi del “ma sì, posso sempre farlo dopo”, perchè in quel preciso istante un pezzo del tuo tempo lo hai già mandato in fumo, perso per sempre, senza alcuna possibilità di riaverlo. Prendiamocelo tutto quello che è il nostro di tempo, usiamo ogni giorno per riempirci l'animo di emozioni, di pensieri, per ridere, piangere, amare, litigare, conoscere, costruire: per vivere. Temiamo più della morte l'arrivare alla fine del nostro tempo con le tasche piene di cose non fatte solo perchè le abbiamo da stolti rimandate. Ci resterebbe a quel punto solo il tempo per un disperato rimpianto.

9.1.16

Parole non urlate e dimenticate

La capacità di dimenticare in fretta parole e azioni è purtroppo cosa assai evidente dalle nostre parti, ma in particolare questa capacità raggiunge livelli impressionanti con le parole non urlate e con le azioni che a quelle parole cercano di dare sostanza. Ecco allora che le parole pacatamente pronunciate per invitare al dialogo ed alla comprensione tra diversi, le parole che pronunciate solo poche settimane fa in una gremita Piazza S. Marco sembravano essere patrimonio comune, sono già dimenticate, cancellate dalla mente. Ai ragionamenti tanto ammirati fatti dai genitori di Valeria Solesin, ancora una volta davanti ad eventi tragici, ma che contengono anche tutta la complessità del mondo d'oggi, si torna a preferire le parole urlate. Si cercano le differenze per evidenziarle, più spesso demonizzarle, ma non si cercano possibili punti di contatto, si racconta il peggio, si tace il meglio. Ci si esercita con parole che non costruiscono nulla, che non contribuiscono alla comprensione e quindi alla ricerca di soluzioni. Si riduce tutto ad un problema di religione dove è facile assegnarsi primati di superiorità con cui garantirsi i favori della propria curva. Poi però qualcuno, magari, si permettere di ricordare che Malala Yousafzai è musulmana e che quindi qualcosa non torna. Ma forse molti hanno già dimenticato Malala e le sue parole, guarda caso non urlate. A chi come Emma Bonino da anni, conoscendo il mondo arabo, indica come fondamentale per contrastare i vari fanatismi religiosi, stimolare e rafforzare il dialogo delle forze laiche che anche in quella parte di mondo esistono, si preferisce non prestare attenzione. Probabilmente perchè anche lei non urla, ma prova a ragionare, a fornire conoscenza per cercare possibili soluzioni. Sicuramente esiste un noi e un loro, ma non saranno fili spinati, muri, quote o leggi manifesto, a tenerli separati. Non si ferma un mondo in movimento con gli slogan, ma lo si può governare con la conoscenza.

6.1.16

Piccole cose

Non sappiamo più notarle le piccole cose, i piccoli gesti che fanno parte della quotidianità ma sono molto più di una ripetitività meccanica e scontata. Non li vediamo perchè non li sappiamo apprezzare, perchè ci siamo abituati, li sentiamo come dovuti e pertanto insufficienti a darci quel senso di soddisfazione del quale abbiamo bisogno per rendere accettabile quella quotidianità fatta inevitabilmente anche di momenti sempre uguali. Solo ciò che è sorprendente pare possa essere degno di apprezzamento, il resto ci lascia con il nostro senso di insoddisfazione, con l'amaro in bocca tipico di ciò che non è abbastanza. E sempre più spesso non è abbastanza. Una porta aperta, un passo ceduto, un piccolo regalo improvvisato, un sorpresa che magari non ottiene l'effetto sperato ma è fatta d'istinto, con spontaneità, una caramella infilata nella tasca... Cose piccole, che non cambiano la vita ma che sono meritevoli di essere viste, osservate con benevolenza, soprattutto perchè non chiedono nulla in cambio. Invece siamo così avvolti su noi stessi, impegnati ad alimentare la nostra insoddisfazione, da cercare sempre secondi fini in gesti che non ne hanno, da immaginare un sottaciuto anche nelle parole dette con semplicità, da cercare il “tra le righe” anche dove le righe neppure ci sono tanto sono casuali, e a volte bonariamente cialtronesche, le parole o i gesti. Dovremmo smettere di credere che il mondo debba girare attorno a noi per compiacerci, perchè siamo noi a dover girare attorno al mondo sorridendo per tutto ciò che di bello esso ci offre, sia questo un diamante od un nastrino colorato.

2.1.16

Percezione

La realtà spesso è così ricca di sfumature da apparire ai nostri occhi offuscata, di difficile comprensione. Sempre più frequentemente occorre uno sforzo aggiuntivo per comprendere ciò che, proprio perchè realtà, dovrebbe essere di facile lettura per tutti. Ma in un mondo complesso qual è il nostro, di facile lettura c'è sempre meno e quello sforzo aggiuntivo diventa indispensabile. Molti, però, non sono disponibili per questa nuova fatica e cercano il modo di evitarla, e allora eccola, arriva lei a togliere le castagne dal fuoco e rendere nuovamente chiara per tutti la “realtà”: la percezione. E' ormai questa per molti la chiave di lettura del nostro tempo, si fa prevalere cioè non la realtà basata su fatti e dati certi, verificabili, ma la percezione della realtà. Sempre più è la base sulla quale si fondano scelte e decisioni anche da parte di interi organi di governo. La sicurezza, l'immigrazione, sono solo i più eclatanti esempi di come la percezione, e non la realtà sia il punto centrale del dibattito politico nel nostro paese, e non solo. I recenti terribili atti di terrorismo nel cuore dell'Europa hanno fatto alzare, giustamente, la soglia di attenzione nelle forze di sicurezze, ma al tempo stesso hanno scatenato una serie di reazioni dettate solamente, e per questo inutili, dal bisogno di soddisfare la percezione di insicurezza che si venuta a creare nella gente. Una percezione in gran parte alimentata ad arte per poter essere usata per fini che nulla hanno a che vedere con la protezione delle persone. Ecco quindi la richiesta, subito esaudita, di avere in strade e piazze militari armati: poco importa se con dubbi compiti e se non sapendo che fare si occupano più dei fatti loro che di quanto gli accade attorno. Ma questo vuole la percezione dell'assedio, dell'invasione per essere placata, questo si dà perchè conviene dare. Irrilevante se i dati oggettivi dimostrano che non c'è una invasione, che il pericolo non arriva da fuori ma è portato da chi è parte della nostra società, che i più terribili attentati non avvengono da noi ma in quei paesi che guardiamo con sufficienza e paura e dei quali continuiamo a non voler conoscere nulla. Sempre più la percezione assomiglia ad un credo religioso a cui affidarsi per qualsiasi cosa, dalla più importante alla più irrilevante, nessuno chiede su cosa si basa una affermazione o una notizia. Faccia caldo o freddo, piova o nevichi, è sempre l'evento più “grande”: rispetto a cosa o a quando non importa. L'analisi oggettiva non interessa, anzi infastidisce, annoia con i suoi dati e imbarazza se dimostra che il tuo sbraitare, il tuo indicare responsabili è del tutto infondato. Sapere è un'altra cosa dalla percezione, richiede, appunto, uno sforzo aggiuntivo richiede di porsi domande, avere dei dubbi e pretendere risposte vere, verificabili. Ecco perchè allora è meglio assecondare la percezione, perchè far crescere la conoscenza rende le persone non più manipolabili, libere. E questa sì, per molti sarebbe oggettivamente la più grande sciagura.

21.11.15

La via è indicata

Nella scelta di una cerimonia laica per l'ultimo saluto a Valeria Solesin, c'è nei suoi genitori una lucidità e saggezza che umanamente potrebbe venir meno in questo momento di massimo dolore. Sarebbe stato non solo facile, ma sopratutto comprensibile voler rispondere, a chi in nome di un'altra fede ha ucciso Valeria, accettando una delle numerose offerte, subito giunte, per una funzione officiata con tutti gli onori dai massimi vertici della curia veneziana. Invece i genitori di Valeria, dando ancora una volta prova di compostezza e di un livello di civiltà non comuni, hanno voluto dare una indicazione a tutti, non essere parte dal clamore che li vorrebbe inquadrati in una trama già scritta, dire, forse interpretando anche il pensiero di Valeria, che bisogna cercare punti di contatto tra le genti proprio quando sembra non essercene. Per questo la cerimonia sarà officiata con rito laico, aperta alle donne e agli uomini di ogni credo, per rendere possibile la vicinanza di tutti senza che nessuno debba rinunciare al proprio essere, al proprio modo di concepire la vita. Una società dove la laicità è un principio quotidianamente riaffermato è l'unica in cui possono convivere le diverse soggettività, senza che nessuna di queste possa pretendere posizioni privilegiate o dominanti. Non esistono scorciatoie per costruire una convivenza pacifica, aperta al dialogo ed alla tolleranza verso le differenze. I genitori di Valeria ci indicano la via, sta ora a noi scegliere di percorrerla e contribuire a mantenerla agibile.

16.11.15

La libertà di Valeria

Non conoscevo Valeria Solesin, le nostre vite non si sono incrociate, perchè la sua era già stata barbaramente portata via quando ho visto per la prima volta il suo volto, quando, come molti altri, ho usato quella ammasso di ciarpame che spesso sono i social network per far circolare la richiesta di sue informazioni. Valeria ho provato a conoscerla in queste ore leggendo di lei, sentendo le parole dei suoi amici. Era certamente una ragazza intelligente, con una gran voglia di vivere conoscendo e comprendendo gli altri e le dinamiche che li muovono. Non posso sapere realmente cosa pensasse, ma credo di non sbagliare nell'immaginare fosse un'amante della, anzi delle, libertà, perchè senza di esse non ci può essere conoscenza. Quelle libertà che in molti da subito hanno cominciato a dire, o ad urlare, devono essere ristrette, limitate. I più “eleganti” hanno posto la questione in termini interrogativi: cosa ne pensate se per aumentare la sicurezza si riducessero le libertà? Come reagireste se.... Quasi sempre dietro a questo atteggiamento si cela lo squallido calcolo elettorale di personaggi che vivono solo in funzione delle prossime elezioni, ma che sono totalmente incapaci di interrogarsi sul perchè e come nascono questi fenemoni, che nulla sanno del mondo in cui ciò è andato crescendo. Ma che soprattutto non hanno alcun interesse a cercare soluzioni reali, perchè queste richiedono studio e analisi e non ci si può limitare a sciatte ed inutili richieste di chiusura delle frontiere o espulsioni di massa. Non conoscevo Valeria, ripeto, ma penso che non avrebbe voluto vedere ridotte le sue libertà o quelle degli altri, perchè meno libertà significa, sempre, maggiore potere nelle mani di pochi, minore libertà significa meno possibilità di sapere e conoscere. Credo che Valeria amasse più di tutto la sua libertà, quella libertà per la quale ha pagato un prezzo altissimo, il più alto si possa pagare. Chi oggi nel suo nome invoca, o solo prospetta, meno libertà certamente le fa un enorme torto, la ferisce nuovamente, perchè oggi, domani e nei giorni a venire nel nome di Valeria ci si deve impegnare nella difesa ed espansione delle libertà di tutti. Solo così si onorerà la memoria di Valeria.