11.7.23

Assenza

Fa parte della vita l'assenza, è una sensazione che prima o poi tutti proviamo. Ci si può preparare a gestirla soprattutto quando è temporanea, quando sai per certo che terminerà e il vuoto si colmerà. In realtà la preparazione scopri che non serve a nulla nel momento esatto in cui quel vuoto ti raggiunge, entra dentro di te. Improvvisamente ti senti spaesato, hai chiaro solo il fatto che ti manca qualcosa e che questa assenza ha la forza di rendere irriconoscibile ciò che fino a ieri amavi vedere mentre oggi ti appare insignificante.  Certo provi a razionalizzare, a darti una spiegazione, perché sei consapevole di quanto sta accadendo e ti ripeti le cose già dette: è uno stato  momentaneo che terminerà rimettendo a posto le cose. No non funziona, perché quello che ti manca in questo momento è un pezzo di te, un qualcosa che sta nel profondo e di cui hai bisogno, è il tassello che completa il puzzle rendendo perfetta l'immagine. Una sola cosa ti interessa fare in questo momento, ritrovare quel tassello perché sai che c'è e che tornerà al suo posto, ma non puoi aspettare. E allora vai a cercarlo attraverso luoghi conosciuti ai quali non presti attenzione perché non sono loro la meta da raggiungere, vai a cercare quel tassello perché hai bisogno di vederlo per riavere l'immagine completa davanti agli occhi. E solo quando l'immagine si completa, solo in quell'attimo, ti senti completo assieme a tutto ciò che ti circonda.

5.4.23

Governare non è un obbligo


Ci risiamo! Riparte, anzi continua perchè non si è mai fermata, la litania del non è colpa nostra ma di quelli che ci hanno preceduto...abbiamo trovato una situazione disastrosa... siamo arrivati da poco non possiamo fare miracoli...chiedete a chi c'era prima... Insomma ogni volta che si insedia un nuovo governo, sia nazionale, regionale o comunale il comandante di turno si sente autorizzato, ai primi svarioni rispetto alle mirabolanti promesse elettorali, a scaricare la responsabilità su qualcun altro, a cercare di apparire vittima di un complotto ordito alle sue spalle. Al regolare ripetersi  di questa sceneggiata a me viene sempre da chiedermi: ma questi da dove arrivano? Perché anche se il nuovo capo di turno è un neofita, uno/a alla prima esperienza, non è certo pensabile che non abbia studiato prima di imbarcarsi in una simile avventura. Cioè se vuoi fare il primo ministro non è che lo decidi così, in quattro e quattr'otto una mattina all'uscita della palestra. Anche perché se è così meglio saperlo che ti rinchiudiamo in un posto sicuro, soprattutto per noi. Escludendo quindi l'improvvisazione, o sei arrivato da Marte e il paese che vuoi governare lo hai studiato guardando le serie tv, oppure gli anni di attività politica fatti prima del salto di qualità sono stati anni sprecati perché non hai capito niente, neanche dove vivi.

Governare non è un obbligo quindi se decidi di farlo è perché ritieni di saperlo fare meglio di altri, perché sei convinto di poter risolvere quei problemi che affliggono il tuo paese, il paese che ami. Ma questo significa che hai consapevolezza del fatto che gli altri governano peggio di te, di qual è la situazione del paese, di quali sono i problemi da risolvere e ovviamente (vero?) di come fare. Non puoi pertanto meravigliarti delle difficoltà e imputare agli altri l'esistenza dei problemi, anche perché hai pubblicamente dichiarato, quando non strillato, che tu sapevi cosa e come si doveva fare per mettere a posto le cose, per migliore la situazione del paese, il paese che ami.  Allora vediamo di smetterla con le scuse da bambini e il ridicolo nascondersi dietro a un dito: sei lì, hai voluto essere lì, per risolvere tutto ciò che a tuo dire non va bene, quindi fallo o ammetti di non esserne in grado, dichiara che quanto raccontato in campagna elettorale erano favole il cui unico scopo era quello di ottenere dei voti per conquistare il potere, e alla fine onorevolmente dimettiti. Magari un agire finalmente in modo chiaro e trasparente potrà essere di esempio per quanti vorranno cimentarsi nella gestione del potere, magari matureranno la consapevolezza che il farlo significa assumersi appieno ed in prima persona un enorme carico di responsabilità dal quale non si può in alcun modo fuggire. Se veramente si ama il proprio paese.

14.2.23

Quante volte

Quante volte le ho sentite quelle parole, quante volte ho visto quegli sguardi. Quante volte ho sentito parole offensive rivolte a chi aveva la "colpa" di avere un colore di pelle diverso o parlare una lingua diversa, quante volte nel mio paese, nella regione in cui sono nato e vivo ho sentito commentare con sospetto una bicicletta nuova condotta da una persona di colore. Quante volte in un ufficio o in un negozio ho sentito dare del tu ad un immigrato, mentre nello stesso ufficio o negozio a me si dava del lei. Quante volte ho visto servire prima un bianco di un nero. Quante volte ho visto sguardi di fastidio o di paura per il semplice avvicinarsi di una persona di colore, come se fosse certo che chi si stava avvicinando costituiva un pericolo. Quante volte? Troppe. Troppe per potersi offendere quando qualcuno sostiene che l'Italia è un paese razzista, un paese in cui il discriminare chi è diverso è pratica quotidiana. Oggi essere razzisti non vuol dire organizzare ghetti o treni piombati, significa non considerare normale che un tuo connazionale possa avere un colore di pelle diverso al tuo, significa pensare che qualsiasi cosa abbia non sia conquistata con fatica e merito ma sia una concessione della quale deve essere grato a te, autentico cittadino di questo paese. Essere razzisti significa fingere che tutto questo non sia vero pur vedendolo ogni giorno in qualsiasi paese della bella Italia, significa cercare assurde argomentazioni per sostene che sia un fenomeno limitato riguardante solo poche persone, piccoli gruppi di ignoranti. No, non è così, non sono poche persone, non sono solo persone senza cultura, e lo sappiamo. Lo sappiamo perchè in fondo, se abbiamo il coraggio di guardarci dentro con onestà, quella diffidenza e sospetto per il diverso appartiene ancora alla maggioranza di noi. Allora se davvero vogliamo toglierci questo fardello dalle spalle dobbiamo, innanzitutto, ammettere di averlo, e quando qualcuno ci racconta le umiliazioni o gli insulti subiti non bollare le sue parole di falsità ma ascoltarle con attenzione per capire come, insieme, possiamo migliore. Se faremo questo arriveremo ad essere un paese dove l'unico a non aver diritto di cittadinanza sarà il razzismo.

 

Immagine di Mauro Biani scaricata da web