23.8.16

Oltre la superficie

Spesso, forse ogni giorno, ci si trova davanti alla necessità di andare oltre la superficie, di scendere al di sotto di quanto emerge per meglio vedere, analizzare, comprendere. A volte è indispensabile farlo per aiutare, per tendere una mano a chi è in una situazione di difficoltà e da solo rischia di non saper riemergere. Ma quando scendi e ti disponi a fare tutto il possibile per meglio capire lo stato delle cose, quando sei pronto a tenderti con tutte le tue forze e capacità, quando accetti di metterti in pericolo per afferrare chi rischia di scivolare troppo in fondo, bisogna farlo avendo ben in mente la regola fondamentale: che l'immersione sia nel mare o nel profondo dell'animo umano, ogni sforzo va fatto sapendo che il primo che devi salvare sei te stesso, perchè non servirebbe a nulla far riemergere due corpi inanimati.

13.7.16

Paese irriconoscibile?

Un paese abbruttito dall'intolleranza, dalla violenza, dalla volgarità. Il senso di comunità progressivamente cancellato dalla voglia di sopraffazione, da un incomprensibile desiderio di rivalsa e di predominio sugli altri. Un paese che appare ogni giorno più irriconoscibile, nel quale si moltiplicano, e forse si sprecano, analisi per cercare di capire e spiegare cosa sta succedendo e perché. A molti questa trasformazione della società appare dettata dalle difficoltà crescenti che le persone si trovano quotidianamente ad affrontare, e in mancanza degli strumenti per superarle si cerca di scaricare sugli altri le proprie frustrazioni. Ma se invece non fossimo in presenza di un cambiamento? Se, cioè, lo spirito del paese fosse da tempo questo? Qualcuno certamente ricorderà “l'esperimento” condotto da Radio Radicale alla fine degli anni '80 quando decise di lasciare i propri microfoni aperti, consentendo a tutti di esprimersi senza alcun filtro o censura. Quello che accadde venne ribattezzato “Radio Parolaccia”. Una enormità di insulti e volgarità contro tutto e tutti si diffuse nell'etere: dallo sport alla politica, dagli zingari ai marocchini passando per gli ebrei, nessuno si salvava da quel fiume di violenza verbale. Improvvisamente una moltitudine di cittadini, ben nascosti dall'anonimato, davano libero sfogo a quello che probabilmente era il loro vero io. All'epoca non esistevano ancora i social network e quella parte di paese era conoscibile solo a chi decideva di sintonizzarsi su Radio Radicale, e comunque quella valanga di sproloqui non lasciava traccia il giorno dopo se non nell'archivio della radio. Oggi, forse, ci troviamo a fare i conti con una parte del paese che non è peggiorata o, speriamo, aumentata, ma semplicemente dispone di ben altro e più potente megafono di quello rappresentato da Radio Radicale. Oggi grazie ai social network la propria intolleranza, la parola scagliata senza pensare, una affermazione indegna, può essere replicata all'infinito, lo spirito di emulazione può facilmente diffondersi. Probabilmente il paese che pare irriconoscibile è in realtà uguale a se stesso, con l'unica differenza che ieri potevamo far finta di non conoscerlo, ora invece è costantemente davanti a noi e siamo costretti a guardarlo per quello che è.

13.6.16

Come il mare

Parole, immagini, pensieri, ricordi affastellati nella mente. Un guazzabuglio nel quale trovo lacrime e sorrisi, urla e sussurri, rabbia e dolcezza, immagini che appaiono in modo nitido e poco dopo sfuocate. Un caos da restare storditi, un caos nel quale a volte pare di perdere la rotta e non riuscire più ad orientarsi. Perché la vita in fondo è un mare nel quale ci si trova a navigare, e come il mare devi affrontarla. Quando c'è calma piatta esci e ti lasci avvolgere beatamente dalla sua tranquillità, ne assapori facilmente tutta la bellezza; quando c'è un po' di onda lo guardi un attimo, ci pensi su, ma non ti fai scoraggiare ed esci ugualmente, perché lo vuoi vivere, perché lo ami e sai che ti può riservare grandi bellezze anche se al costo di un po' di fatica in più. Quando c'è burrasca magari aspetti, ti metti lì da una parte, sperando che cali un po', continuando a guardarlo, perché il mare ti affascina anche quando non sai come prenderlo. Perché come è arrivata, rapidamente la burrasca può scemare e ridarti un mare in cui poterti tuffare e tornare a godere dalle sue mille bellezze. Dal mare, ormai lo sai, non ti devi far scoraggiare, lui ti mette alla prova, sempre, ma sempre vale sempre la pena di affrontarlo perché non sai mai cosa ti riserva. Proprio come la vita.

22.5.16

E adesso, dopo le parole?

Dopo giorni ad argomentare sulla sua grandezza, a spiegarci la lungimiranza, dopo aver glorificato ed incensato Marco Pannella. Dopo che la politica, quella “ufficiale”, non quella da marciapiede, si è dichiarata orfana di un grande di questo paese, dopo aver auspicato che il suo pensiero, quello che non hanno ascoltato ma spesso irriso, possa continuare ed espandersi. Dopo che un'improvvisa schiera di estimatori dei Radicali si è palesata, uscendo da luoghi così oscuri da non essere stata visibile da nessuno per anni. Dopo che, scesi dal Palazzo per fare qualche passo sulla strada di Marco, vi accingete a rientrare nelle vostre stanze, ecco dopo tutto questo, adesso, voi signori del potere, cosa pensate di fare? Continuerete nella vostra politica da nani, o avrete il coraggio di dare corpo a quella politica che non può più avere il corpo da gigante di Marco? E' ora il momento di farsi carico, di discutere seriamente, concretamente, temi e proposte come quelli sul fine vita, sull'eutanasia, sulla legalizzazione delle cannabis, sul diritto alla conoscenza. Ora, subito, è il momento di discutere di Stato di diritto, di amnistia ed indulto, della situazione delle carceri. Rileggetevi, anzi leggete perchè non lo avete fatto, il messaggio dell'ex Presidente Napolitano inviato alle Camere e mai da voi discusso. Adesso dovete dimostrare di non essere solo parole ma anche azione, di saper essere classe dirigente che guarda lontano e non si ferma all'oggi, che parla alle menti e non alla pance, che accetta di essere impopolare per non essere antipopolare. Voi, politici che avete fatto di tutto per tenere Pannella e i Radicali ai margini, silenziati, esclusi da tutto, dimostrate di aver capito, o di voler capire, il lascito di idee e progetti di Marco. Altrimenti i vostri compunti omaggi, veramente puzzeranno di ipocrisia lontano un miglio.

3.5.16

Famiglia d'anima

Non mi è mai appartenuto il concetto di famiglia inteso come quell'insieme di legami dettati dalla consanguineità. Non ho mai sentito quella cosa che molti con orgoglio chiamano il “richiamo del sangue”. Per me la famiglia è, è sempre stata, quell'insieme di persone che completano, fanno crescere il mio essere, persone che io ho scelto, che per motivi, a volte uguali a volte diversi, sento essermi indispensabili. Sono persone alle quali ho deciso di donare un pezzo del mio cuore e alle quali nulla chiedo in cambio. I membri della mia famiglia, la mia famiglia d'anima, spesso neanche si conoscono tra loro, forse non sanno neanche di farne parte, nella mia famiglia, quella che mi serve per vivere, per fare un passo dopo l'altro, non ci sono cognomi uguali e se ci sono è un fatto irrilevante, a me bastano i nomi. Allora nel mio sangue scorrono nomi come, Monica, Pier, Elena, Bobo (ma vi pare un nome Bobo?), Andrea, Annalisa, Antonella, Marco, Emma, Mitia... e molti altri. Perchè ho la fortuna di essere ricco di persone che mi hanno donato tanto, senza le quali non sarei quello che sono e non potrei fare quello che ancora devo fare. No, non confondo l'amicizia con la famiglia, queste persone sono assai più degli amici, sono pezzi di me, mi compongono e quando ne perdo una è un pezzo di me che si perde. Questa è la mia famiglia, l'insieme di ciò che è simile a me in cui cercare certezze, ma anche diverso da me, in cui trovare quei dubbi che mi costringono a non fermarmi.

3.4.16

Macchine ferme e luci spente

Per sei giorni in un mese le macchine non si sono mosse, per tre giorni consecutivamente, un giorno assieme a tutte le altre del paese. Per sei giorni non un pezzo di carta ha incontrato una goccia d'inchiostro, per sei giorni migliaia di lettori non hanno avuto il loro giornale da leggere, mentre nel mondo succedeva di tutto. Centinaia di lavoratori, che solitamente non brillano per compattezza e solidarietà, si sono ritrovati convintamente uniti con un unico obiettivo. Sei giorni di sciopero in un mese da parte di una azienda, non passano inosservati, in un paese democratico normalmente diventano una notizia. Un avvenimento del quale cercare di comprendere e far conoscere le motivazioni, soprattutto se sulla vicenda giungono, in modo trasversale, dichiarazioni di solidarietà e preoccupazione dal mondo della politica locale e nazionale. Invece nulla, quanto accaduto non è diventato notizia. Il mondo dei media, alle rotative ferme, ai lavoratori in piazza, ha fatto corrispondere luci spente ed obbiettivi chiusi. Un strano velo di omertà sembra essere calato su chi ha il compito di fare informazione, un senso di paura ha assalito chi, con telecamere e microfoni, migliaia di volte si è buttato senza esitazione in manifestazioni e scioperi delle più varie categorie produttive del paese. Se ne sono stati in disparte perfino quei reporter che fatichi a capire se siano interessati a fare informazione o a cercare occasioni per alimentare qualche gazzarra. L'informazione non parla dei problemi dei lavoratori dell'informazione. Chissà forse è solo per pudore, perchè i panni sporchi si lavano in casa, o forse molto più semplicemente, e molto più drammaticamente, perchè i padroni delle macchine non consentono che di loro si parli e si sappia.

3.3.16

Commiato civile

La perdita di una persona cara è certamente il momento più doloroso che la vita ci impone di affrontare. L'ultimo saluto è l'evento attraverso il quale si cerca di mitigare il dolore con la vicinanza e la condivisione dei ricordi di quanti hanno fatto parte della vita di chi non c'è più. Sempre, quest'ultimo saluto, dovrebbe essere possibile realizzarlo in una ambiente accogliente e confortevole, mai al dolore del momento dovrebbe essere necessario aggiungere la fatica di trovare un luogo adatto. Certo, per un funerale, di questo stiamo parlando, ci sono un numero infinito di chiese accoglienti, eleganti, sfarzose, intime, con officianti pronti a declamare parole giuste ed opportune. Anche per confessioni diverse da quella cattolica esistono, e giustamente aumentano, luoghi simili. Ma per chi non è credente, per chi non crede in paradisi in cui trovare fiumi di latte e macchinette per il caffè ovunque, per chi pensa che dopo la morte il proprio posto sarà solo nei cuori di quanti lo hanno amato. Ecco, per questi, che non sono pochi, perchè deve essere tutto più difficile se non addirittura impossibile? Sono ancora troppi i luoghi in questo paese dove mancano sale per un ultimo saluto laico, o se ci sono, sono spesso piccole stanze perlopiù disadorne, dove i familiari devono arrangiarsi per qualsiasi cosa. La morte, si dice, rende tutti uguali, ma non è vero. Sembra che essere laico, non credente in un qualche Dio, sia ancora una colpa dalla quale neanche la morte ti può emendare: tu ateo, vattene lì in quell'angolo lontano con i tuoi sodali, che noi, che siamo i migliori, vi si possa riconoscere e meglio controllare. Sì, sono indignato ed offeso. E' un'inaccettabile dimostrazione di inciviltà, di arretratezza culturale, che nella mia città, come in molte altre, non si senta il dovere di realizzare sale del commiato decorose e ben organizzate. Essere un paese civile significa anche aiutare ad affrontare il dolore di dare l'ultimo saluto a chi in vita è stato, e continuerà ad essere, un nostro amore.

11.2.16

Magari fosse un ente solo inutile

Trasformare, con puntuale incuria, un enorme patrimonio immobiliare in un enorme cumulo di macerie. Potrebbe essere descritta così la "mission" dell'Ater di Venezia, un ente che tra inchieste, osservazioni della corte dei conti e commissariamenti vari, si dimostra ogni giorno di più una palla al piede per la gestione della residenzialità nel Comune più famoso del mondo. Si potrebbero riempire volumi con racconti surreali sulla incapacità di azione a fronte delle problematiche abitative che riguardano centinaia di persone. Appartamenti lasciati nel più totale degrado, lavori di ristrutturazione di vecchi, per non dire storici, palazzi lasciati in sospeso per mancanza di verifiche sui lavori o per burocratici rimpalli di responsabilità. Funzionari che si lanciano frecce avvelenate l'un l'altro (in puro spirito aziendalista) al  solo scopo di chiamarsi fuori anche dalla più piccola decisione. Riunioni per deliberare attività di ristrutturazione e conservazione degli immobili continuamente rinviate, a causa di delegati dell'ente privi di qualsiasi potere decisionale e con il solo compito di riferire ad un non meglio precisato dirigente superiore che si guarda bene dall'esporsi in prima persona. In tutto questo bailamme di inefficienza mista ad ottusa burocrazia, un immenso patrimonio pubblico, cioè di tutti, va letteralmente in malora trascinando con se decine di persone costrette a vivere in situazioni precarie quando non malsane. A fronte di tutto ciò, e della costantemente sbandierata volontà di una corretta ed efficiente gestione dei beni pubblici, viene spontaneo chiedersi quanto si dovrà attendere prima di vedere l'eliminazione di un ente che per come opera appare peggio che inutile, e l'affidamento di questo prezioso patrimonio immobiliare a chi sia realmente interessato alla sua salvaguardia. Auguriamoci che il tempo da attendere non sia troppo, altrimenti al posto di un patrimonio da gestire avremo solo delle macerie da smaltire.

27.1.16

Paura dell'amore altrui

Chiunque frequenti questo paese con un minimo di attenzione, non può non aver constatato l'abissale distanza che c'è tra il modo di vivere dei suoi abitanti, compresi quelli che si professano di religione cattolica, e i dettami della Conferenza Episcopale Italiana e più in generale delle gerarchie vaticane. Si potrebbe fare un elenco infinito di inosservanze: dall'infedeltà coniugale, al divorzio, dall'uso dei contraccettivi, alla discriminazione verso i deboli... Chiunque venisse interrogato sulla questione con una domanda anche a “bruciapelo”, sicuramente troverebbe un buon numero di esempi da citare. Nonostante questa innegabile realtà, ogni volta che qualche porporato alza la voce per indicare cosa si deve o non si deve fare, una schiera di politici, cioè i rappresentanti di quei cittadini che nel quotidiano se ne “strafregano” dei desiderata di oltre Tevere, finisce nel panico e crolla a terra pronta a baciare l'anello. Viene fin troppo facile ricordare quanto accadde con la legge 40 sulla fecondazione assistita, una pratica medica nella quale l'Italia era all'avanguardia dal punto di vista tecnico scientifico ma che venne proibita con una legge dettata dalle gerarchie vaticane, benchè incostituzionale come dimostrato negli anni dalle sentenze della Corte costituzionale. Non solo quella legge venne fatta passare in Parlamento, ma quando si tentò di abrogarla con un referendum, politici tremanti e genuflessi non dissero nulla davanti ad una letteralmente illegale campagna di istigazione al non voto scatenata dalla CEI. E che dire del tema del fine vita, un tema sul quale i cittadini di questo paese hanno una posizione chiara e maggioritaria, ma sul quale non si può legiferare perchè i soliti politici cattolici (vogliamo dire due parole sul loro essere cattolici? Meglio di no...), attendono il permesso dei porporati di cui sopra. Adesso è la volta della legge sulle unioni civili, un tema che la gran parte dei paesi europei ha da anni affrontato e risolto. Un tema che riguarda l'amore e la felicità delle persone, un provvedimento da varare per riconoscere parità di diritti, per normare situazioni familiari che già esistono numerose nel nostro paese, per conquistare un diritto in più senza togliere nulla a nessuno o costringere qualcuno a fare ciò che non vuole. Ma no, Monsignor Bagnasco perentorio afferma che ci sono famiglie con la “F” maiuscola che non possono essere confuse con quelle con la “f” minuscola, (comincio ad averne le tasche piene di maiuscole e minuscole...). Rieccoli quindi i politici devoti difensori della famiglia, così amanti della famiglia tradizionale da averne spesso due o tre, compattamente quanto ottusamente piegarsi senza esitazione al voler del Monsignore, pronti a dare battaglia ad una legge che rappresenta un timido, anzi timidissimo, passo verso il riconoscimento di una parità di diritti tra i cittadini. Nei loro volti, anzi nelle loro schiene vista la posizione, c'è la totale indifferenza verso il dettato del loro mandato di Parlamentare in una Repubblica laica per Costituzione e senza una religione di Stato. Tra qualche giorno si ritroveranno tutti, assieme ad una buona dose di ipocrisia, al family day, una manifestazione che non chiede qualcosa di più per la famiglia o per i cittadini di questo paese ma qualcosa in meno, che chiede diseguaglianza e discriminazione, che ancora una volta chiede sofferenza per gli altri, che confonde peccato con reato, che in nome del “io non lo farei” vuole imporre il “tu non lo devi fare”. Ma cosa spaventa nell'amore degli altri? Cosa temono possa togliere al loro? Sempre che siano ancora capaci di amare, perchè avere il dubbio che siano invidiosi a questo punto è lecito. Forse questi signori riusciranno ancora una volta ad impedire una conquista di libertà, ma certamente non riusciranno ad impedire alle persone di amarsi come il loro cuore gli indica, di cercare la felicità e di arrivare ad ottenere, per loro e le loro famiglie, la parità di diritti e riconoscimenti. Perchè i diritti camminano sulle gambe delle persone e non saranno certo delle schiene ricurve o le urla di qualche porporato a fermarli.

19.1.16

Il tempo

Non curanti ce lo facciamo scivolare addosso, convinti scioccamente di averne a disposizione quanto ne vogliamo. Sono una valanga le ore, i giorni lasciati andare come fossero roba che non ci riguarda, senza preoccuparci di afferrarli per dargli un senso, per affidargli un compito, magari piccolo ma che ci permetta di dire: sì, questo tempo l'ho vissuto. Il tempo non è come ci piacerebbe credere qualcosa di infinito, è un bene limitato e prezioso, da vivere possibilmente al meglio, ma soprattutto da vivere. Il tempo non ti aspetta, o sei veloce nel decidere che farne o ti passa sopra lasciandoti li, buttato su un divano ad aspettare che quello a tua disposizione sia finito. Allora basta con il ridicolo alibi del “ma sì, posso sempre farlo dopo”, perchè in quel preciso istante un pezzo del tuo tempo lo hai già mandato in fumo, perso per sempre, senza alcuna possibilità di riaverlo. Prendiamocelo tutto quello che è il nostro di tempo, usiamo ogni giorno per riempirci l'animo di emozioni, di pensieri, per ridere, piangere, amare, litigare, conoscere, costruire: per vivere. Temiamo più della morte l'arrivare alla fine del nostro tempo con le tasche piene di cose non fatte solo perchè le abbiamo da stolti rimandate. Ci resterebbe a quel punto solo il tempo per un disperato rimpianto.

9.1.16

Parole non urlate e dimenticate

La capacità di dimenticare in fretta parole e azioni è purtroppo cosa assai evidente dalle nostre parti, ma in particolare questa capacità raggiunge livelli impressionanti con le parole non urlate e con le azioni che a quelle parole cercano di dare sostanza. Ecco allora che le parole pacatamente pronunciate per invitare al dialogo ed alla comprensione tra diversi, le parole che pronunciate solo poche settimane fa in una gremita Piazza S. Marco sembravano essere patrimonio comune, sono già dimenticate, cancellate dalla mente. Ai ragionamenti tanto ammirati fatti dai genitori di Valeria Solesin, ancora una volta davanti ad eventi tragici, ma che contengono anche tutta la complessità del mondo d'oggi, si torna a preferire le parole urlate. Si cercano le differenze per evidenziarle, più spesso demonizzarle, ma non si cercano possibili punti di contatto, si racconta il peggio, si tace il meglio. Ci si esercita con parole che non costruiscono nulla, che non contribuiscono alla comprensione e quindi alla ricerca di soluzioni. Si riduce tutto ad un problema di religione dove è facile assegnarsi primati di superiorità con cui garantirsi i favori della propria curva. Poi però qualcuno, magari, si permettere di ricordare che Malala Yousafzai è musulmana e che quindi qualcosa non torna. Ma forse molti hanno già dimenticato Malala e le sue parole, guarda caso non urlate. A chi come Emma Bonino da anni, conoscendo il mondo arabo, indica come fondamentale per contrastare i vari fanatismi religiosi, stimolare e rafforzare il dialogo delle forze laiche che anche in quella parte di mondo esistono, si preferisce non prestare attenzione. Probabilmente perchè anche lei non urla, ma prova a ragionare, a fornire conoscenza per cercare possibili soluzioni. Sicuramente esiste un noi e un loro, ma non saranno fili spinati, muri, quote o leggi manifesto, a tenerli separati. Non si ferma un mondo in movimento con gli slogan, ma lo si può governare con la conoscenza.

6.1.16

Piccole cose

Non sappiamo più notarle le piccole cose, i piccoli gesti che fanno parte della quotidianità ma sono molto più di una ripetitività meccanica e scontata. Non li vediamo perchè non li sappiamo apprezzare, perchè ci siamo abituati, li sentiamo come dovuti e pertanto insufficienti a darci quel senso di soddisfazione del quale abbiamo bisogno per rendere accettabile quella quotidianità fatta inevitabilmente anche di momenti sempre uguali. Solo ciò che è sorprendente pare possa essere degno di apprezzamento, il resto ci lascia con il nostro senso di insoddisfazione, con l'amaro in bocca tipico di ciò che non è abbastanza. E sempre più spesso non è abbastanza. Una porta aperta, un passo ceduto, un piccolo regalo improvvisato, un sorpresa che magari non ottiene l'effetto sperato ma è fatta d'istinto, con spontaneità, una caramella infilata nella tasca... Cose piccole, che non cambiano la vita ma che sono meritevoli di essere viste, osservate con benevolenza, soprattutto perchè non chiedono nulla in cambio. Invece siamo così avvolti su noi stessi, impegnati ad alimentare la nostra insoddisfazione, da cercare sempre secondi fini in gesti che non ne hanno, da immaginare un sottaciuto anche nelle parole dette con semplicità, da cercare il “tra le righe” anche dove le righe neppure ci sono tanto sono casuali, e a volte bonariamente cialtronesche, le parole o i gesti. Dovremmo smettere di credere che il mondo debba girare attorno a noi per compiacerci, perchè siamo noi a dover girare attorno al mondo sorridendo per tutto ciò che di bello esso ci offre, sia questo un diamante od un nastrino colorato.

2.1.16

Percezione

La realtà spesso è così ricca di sfumature da apparire ai nostri occhi offuscata, di difficile comprensione. Sempre più frequentemente occorre uno sforzo aggiuntivo per comprendere ciò che, proprio perchè realtà, dovrebbe essere di facile lettura per tutti. Ma in un mondo complesso qual è il nostro, di facile lettura c'è sempre meno e quello sforzo aggiuntivo diventa indispensabile. Molti, però, non sono disponibili per questa nuova fatica e cercano il modo di evitarla, e allora eccola, arriva lei a togliere le castagne dal fuoco e rendere nuovamente chiara per tutti la “realtà”: la percezione. E' ormai questa per molti la chiave di lettura del nostro tempo, si fa prevalere cioè non la realtà basata su fatti e dati certi, verificabili, ma la percezione della realtà. Sempre più è la base sulla quale si fondano scelte e decisioni anche da parte di interi organi di governo. La sicurezza, l'immigrazione, sono solo i più eclatanti esempi di come la percezione, e non la realtà sia il punto centrale del dibattito politico nel nostro paese, e non solo. I recenti terribili atti di terrorismo nel cuore dell'Europa hanno fatto alzare, giustamente, la soglia di attenzione nelle forze di sicurezze, ma al tempo stesso hanno scatenato una serie di reazioni dettate solamente, e per questo inutili, dal bisogno di soddisfare la percezione di insicurezza che si venuta a creare nella gente. Una percezione in gran parte alimentata ad arte per poter essere usata per fini che nulla hanno a che vedere con la protezione delle persone. Ecco quindi la richiesta, subito esaudita, di avere in strade e piazze militari armati: poco importa se con dubbi compiti e se non sapendo che fare si occupano più dei fatti loro che di quanto gli accade attorno. Ma questo vuole la percezione dell'assedio, dell'invasione per essere placata, questo si dà perchè conviene dare. Irrilevante se i dati oggettivi dimostrano che non c'è una invasione, che il pericolo non arriva da fuori ma è portato da chi è parte della nostra società, che i più terribili attentati non avvengono da noi ma in quei paesi che guardiamo con sufficienza e paura e dei quali continuiamo a non voler conoscere nulla. Sempre più la percezione assomiglia ad un credo religioso a cui affidarsi per qualsiasi cosa, dalla più importante alla più irrilevante, nessuno chiede su cosa si basa una affermazione o una notizia. Faccia caldo o freddo, piova o nevichi, è sempre l'evento più “grande”: rispetto a cosa o a quando non importa. L'analisi oggettiva non interessa, anzi infastidisce, annoia con i suoi dati e imbarazza se dimostra che il tuo sbraitare, il tuo indicare responsabili è del tutto infondato. Sapere è un'altra cosa dalla percezione, richiede, appunto, uno sforzo aggiuntivo richiede di porsi domande, avere dei dubbi e pretendere risposte vere, verificabili. Ecco perchè allora è meglio assecondare la percezione, perchè far crescere la conoscenza rende le persone non più manipolabili, libere. E questa sì, per molti sarebbe oggettivamente la più grande sciagura.