25.8.10

Articolo ventisette

C'era da aspettarselo, il coro non poteva perdere l'occasione della fine pena di Felice Maniero per riproporre il repertorio fatto di indignazione e stupore. Tutti pronti in prima fila i teorici del "buttate via le chiavi", quelli per cui civiltà giuridica non significa nulla, Cesare Beccaria è un emerito sconosciuto, il principio costituzionale dell'articolo ventisette secondo il quale la pena inflitta deve servire al recupero del condannato, un cavillo da azzeccagarbugli.
La superficialità e la dilagante abitudine a parlare senza un minimo di riflessione ha portato il senso comune a ritenere una dimostrazione di debolezza dello Stato il fatto che una volta espiata la pena debba esserci un ritorno pieno nella società civile, si vorrebbe invece incatenare il condannato al suo passato senza consentirgli nessuna possibiltà di rientro nella comunità. Una ricerca di vendetta anzichè un desiderio di recupero degli individi per riportarli sul sentiero della legalità e del rispetto delle regole. Sembra non ci si renda conto che la forza di uno Stato non si dimostra con la logica barbara dell'occhio per occhio, ma con l'affermazione dei principi di civiltà attraverso i quali lo Stato non si abbassa alla logica della violenza ma si pone ad un livello superiore di chi delinque.
Sul ritorno in libertà di Felice Maniero, ma non solo lui, sono chiare e nette le parole del procuratore capo di Venezia Vittorio Borraccetti: "le sanzioni e le loro durate sono previste dalla legge, dunque quando quel termine finisce una persona ha il diritto di tornare libero. L’attività repressiva deve essere svolta ai sensi della legge, non secondo il senso comune".
Sarebbe utile molti riflettessero su questi semplici ma basilari principi di uno stato di diritto per scongiurare il pericolo che anche l'articolo ventisette venga relegato a fastidioso formalismo costituzionale.

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