28.7.10

L'ultima madre

Ci sono questioni intorno alle quali si sviluppano dibattiti talmente accesi da far pensare di trovarsi davanti a temi mai trattati prima, problemi la cui risoluzione è tutta da scrivere e per la quale non si dispone di un punto di partenza. E' il caso del dibattito su desistenza terapeutica ed eutanasia, questioni tra loro ben distinte, nel quale sembra sempre che l'argomento del fine vita sia una novità di questi ultimi anni con il quale le persone non hanno mai dovuto fare i conti. Al contrario invece la morte, e il suo modo di giungerci, fa parte del vissuto di tutti ed è una realtà da sempre affrontata, seppur in modo silenzioso. La sofferenza, la malattia che porta a rendere non più accettabile e dignitosa la propria condizione di vita, sono situazioni nelle quali da sempre si cerca il modo di andare incontro alle richieste espresse dell'individuo o da coloro che sicuramente sanno rappresentarne il pensiero autentico. Non è la ricerca di una scorciatoia a portare alla richiesta d'aiuto per compiere, o non compiere, un atto, ma la volontà di porre fine ad uno stato che si sa essere non più accettabile innanzitutto per la persona a cui siamo vicini. Tutto ciò è noto ai più, è una realtà manifesta, facilmente riscontrabile in mille occasioni se solo si volesse per un attimo porre al centro della discussione la realtà delle cose.
Di questa "semplice" realtà ne è una illuminante rappresentazione il romanzo di Michela Murgia dal titolo "Accabadora" (Einaudi), un libro che attraverso le parole, i silenzi, gli sguardi dei protagonisti rende evidente come la morte, anche la più dura, sia parte integrante della vita, ineludibile e alla quale si devono dare risposte a volte pesanti. Una pesantezza resa sopportabile dalla consapevolezza di aver compiuto un atto d'amore e di rispetto. Una cosapevolezza che manca nelle molte parole di fasulli dibattiti.

Ci sono uscite notturne che Maria intercetta ma non capisce, e una sapienza quasi millenaria riguardo alle cose della vita e della morte. Quello che tutti sanno e che Maria non immagina, è che Tzia Bonaria Urrai cuce gli abiti e conforta gli animi, conosce i sortilegi e le fatture, ma quando è necessario è pronta a entrare nelle case per portare una morte pietosa. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.

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