7.7.11

Se non mia, di chi?

Ascoltare i lavori parlamentari sulla legge in materia di direttive anticipate di trattamento, il testamento biologico per capirci, ha un che di deprimente. I sostenitori della legge che, con il suo articolato, sancisce il divieto di autoderminazione e di scelta in fatto di cure e terapie nella situazione del fine vita, sono tutti impegnati a spiegare come loro siano preoccupati per la salvaguardia e il rispetto della vita. E' tutto un argomentare con alla base la tesi dell'incapacità dei cittadini di fare scelte personali in modo consapevole, sembra esserci la convinzione che un testamento biologico si compili con leggerezza, senza comprendere o riflettere su cosa si sta facendo. Insomma, dato che noi cittadini potremmo farci male con troppa libertà spetta la loro, illuminati e saggi legislatori, assumersi il compito di decidere quali cure e tarapie possiamo o non possiamo rifiutare. In realtà è manifesta la volontà, anche se non si ha il coraggio di affermarlo chiaramente, di imporre a tutti la propria visione della vita e di come questa debba concludersi, una visione ancorata a dogmi e precetti religiosi, assolutamente legittimi e che devono poter essere fatti valere per se stessi ma che, in uno stato laico, non possono essere imposti per legge a tutti.
Ma l'argomentazione per me più fastidiosa che, per garantirsi il favore delle gerarchie d'oltre tevere, continua tenacemete ad essere esposta dagli estensori e sostenitori della legge, è quella basata sul dogma dell'indisponibiltà della vita, sul principio secondo il quale l'individuo non può decidere di porre fine alla sua vita perchè non appartiene a lui ma ad un'entità superiore. Se, come temo, questa legge verrà approvata e se quindi verrà sancito che la vita non è disponibile, che cioè la mia vita non mi appartiene, qualcuno degli illuminati legislatori potrebbe gentilmente dire, a me che sono ateo, la mia vita di chi è?

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