6.10.09

Voglia di un futuro nel ghetto



Chi vive a nordest sempre con più frequenza si trova a fare i conti con una strana voglia: la voglia di vivere in un ghetto quanto più possibile piccolo. Non saprei come altro spiegare questa continua campagna di esaltazione del dialetto, che, attenzione, non c'entra nulla con il pregievole desiderio di salvaguardare un patrimonio culturale. Per i veneti, anche se non so esattamente in che percentuale, sembra essere titolo di merito il costante tentativo di ridurre la capacità comunicativa, la possibiltà di dialogo e confronto tra le genti. In una realtà che vede sempre più persone cercare il modo di comunicare e comprendersi per scambiare informazioni, in Veneto ci si illude che il bene stia nel rinchiudersi all'interno del proprio giardino linguistico. Giardino piccolissimo, un ghetto appunto, delimitato dal dialetto, il proprio. Talmente "proprio" che spesso è diverso da quello parlato tre giardini più in là.  Perché sfido chiunque a sostenere che si parla lo stesso dialetto nella bassa padana e nelle dolomiti cadorine, che nella laguna veneziana si usano gli stessi termini dei monti della lessinia. Eppure nonostante questo si continua raccontare, soprattutto da parte di certi politici, che siccome qui tutti parlano il dialetto (tutti? Siamo proprio sicuri?), e bisogna salvare la nostra identità, si deve scrivere, fare le trasmissioni televisisive e le etichette dei prodotti in dialetto.  Questa "brillante" teoria sembra trovare sempre più estimatori, infatti se fino a poco fa a sostenerla  erano soprattutto mezzi d'informazione  tenuti a farlo per ordini di scuderia, ora  anche giornali che, almeno teoricamente, non si richiamano a gruppi politici sembrano entusiasti di contribuire alla lotta portata avanti da brillanti personaggi proiettati verso il futuro. E' il caso del principale quotidiano del nordest il quale ieri è uscito mettendo sopra la prima pagina una prima pagina-bis tradotta in dialetto. Non commento il risultato della traduzione in veneziano, almeno credo fosse veneziano visto che più di qualcuno ha avuto dei dubbi e si sono udite grasse risate nelle calli di venezia.
Ma perché mai si cerca di confinare i veneti in un ghetto linguistico, perché invece di fornire la conoscenza necessaria per abbattere i muri si incita alla loro costruzione. Quale logica sostiene l'idea che per far conoscere un prodotto al maggior numero possibile di persone sia utile usare una lingua comprensibile da pochi. Perché dare un handicap ai giovani nei confronti dei coetanei che sanno ben maneggiare una lingua che consente maggiore possibiltà di relazione. Da molto tempo sono uscito dal mondo scolastico ma ricordo assai bene lo svantaggio che avevano in classe quei bambini che parlavano solo dialetto, svantaggio che sono convinto avrà condizionati alcuni di loro anche nella successiva vita di relazione, relegandoli probabilmente in un ambiente a misura di dialetto.
Mentre appare sempre più evidente che il futuro, e la sua gestione, sarà nelle mani di quanti sapranno comunicare a 360 gradi con americani, indiani e cinesi, sembra proprio che dalle nostre parti si faccia di tutto per garantire a chi nasce in Veneto un futuro ristretto in un ghetto linguistico. E forse non solo linguistico.

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