8.1.15

À La Guerre?

La si annuncia come riflesso istintivo alle agghiaccianti immagini di morte a Parigi, la si invoca come slogan miseramente opportunistico per ottenere facili consensi. Ma non è con l'invito alla guerra che si può pensare di fermare la follia integralista di chi crede in un dio così debole da poter essere sminuito con dei disegni. Una guerra, contro chi poi? Dove? contro i musulmani tutti? una parte? Quale parte? Sapendo cosa del "nemico"? Nella testa di molti si continua a credere che il mondo musulmano sia una cosa sola, fatta prevalentemente di beduini ignoranti e sottosviluppati, che vivono tra cammelli e deserti, tranne poi restare ogni volta a bocca aperta quando si dimostrano abili e preparati, quando non spietati, nell'uso di strumenti che pensiamo essere di dominio solo occidentale. Si dice sempre che la storia dovrebbe esserci d'insegnamento, ma come sempre tocca constatare che così non è. Siamo bravissimi a lanciarci in guerre, più o meno dichiarate, ma decisamente meno a sopportarne il peso, ancora meno ad ottenere da queste un qualche risultato decente. Dice Emma Bonino, che il medio oriente lo conosce veramente e che se non per saggezza, almeno per convenienza sarebbe bene ascoltare: "Pace e tolleranza non sono un evento, sono un processo". Ecco, invece di strillare proclami validi un giorno, cerchiamo di supportare questo processo prestando attenzione in modo non occasionale a chi cerca di muoversi verso questi obiettivi. Faciamolo anche con la consapevolezza che, proprio perchè un processo, sarà cosa lunga e ricca di contraddizioni. C'è invece una "guerra" che dobbiamo proclamare al più presto, una "guerra" difficile perchè non possiamo in alcun modo farla combattere dagli altri. E' quella contro noi stessi, contro il disinteresse che abbiamo per le nostre libertà e i nostri diritti. Siamo così stupidamente convinti che siano cose acquisite, intoccabili, che non prestiamo loro nessuna attenzione, tranne poi, quando qualcuno tenta di portarcele via, trovarci sgomenti a gridare "Je suis Charlie". Ma non si può continuare ad essere Charlie solo davanti a del sangue, per proclamare la libertà di parola di chi parlare non può più. Bisogna decidere di essere Charlie ogni giorno, ogni giorno difendere la libertà di espressione, soprattutto per il diverso da te, per quello che scrive, dice o disegna cose che trovi disgustose. Se veramente crediamo che le nostre libertà siano le basi della nostra vita, l'unico via per difenderle passa attraverso la consapevolezza che queste vanno promosse e sorvegliate ogni giorno, in caso contrario il rischio è di trovarci a non poter neanche più dire "Je suis Charlie".



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